Un cucchiaio di extravergine made in Italy per ogni italiano. All’anno, non al giorno. A tanto ammonta (circa 30 grammi) la disponibilità pro capite di olio extravergine d’oliva italiano suddiviso per la popolazione italiana. Al 30 aprile scorso, secondo i numeri di Frantoio Italia, la banca dati sull’olio d’oliva gestita dall’Ispettorato per il controllo della Qualità del Mipaaf, in giacenza in Italia c’erano in tutto 346mila tonnellate di cui 122mila di extravergine 100% italiano. Frantoio_Italia_30_aprile_2021
Un volume lontano anni luce dai consumi italiani (circa 600mila tonnellate l’anno), e ancora di più dal reale fabbisogno nazionale (oltre un milione di tonnellate) che comprende anche le circa 400mila l’anno che vengono esportate.
Quindi si può dire che olio extravergine d’oliva italiano ce n’è molto poco. La produzione del Belpaese di olio extravergine d’oliva negli ultimi anni si è assestata, secondo Ismea, attorno alle 250mila tonnellate. Per trovare una produzione in grado di soddisfare almeno i consumi interni (e comunque non l’export) bisogna risalire alla fine degli anni ’90.
Di fatto, mentre negli anni si discuteva in maniera accesa sulla reale entità dei raccolti, la produzione italiana scendeva sempre più giù. E se in passato era necessario acquistare olio all’estero (Spagna in primo luogo ma anche Grecia e Tunisia) solo per riesportarlo in blend con extravergine italiano, adesso, non si intravede come se ne possa fare a meno anche per i consumi interni.
Molti affermano che il problema del settore olivicolo made in Italy non sia la produzione ma la trasformazione e il commercio. In realtà, anche se la trasformazione ed il commercio hanno buona dose di colpe, il problema è dell’intera filiera olivicolo-olearia.
«Il deficit produttivo di cui soffre l’olio italiano – ha spiegato la presidente del Gruppo Oliva di Assitol, Anna Cane – è ormai un dato di fatto. Ce lo indicano chiaramente le rilevazioni, per giunta da fonti ufficiali. Salta agli occhi che, purtroppo, di olio extravergine di origine italiana non solo non ce n’è per tutti, ma ce ne è davvero per pochi».
Dopo discussioni durate decenni, nel corso dei quali si favoleggiava dei piani olivicoli realizzati dalla Spagna a partire dall’ingresso nella Ue nel 1996 in virtù dei quali Madrid ha surclassato Roma (attualmente la Spagna produce 1,2-1,3 milioni di tonnellate di olio l’anno), la montagna ha partorito il classico topolino.
Ben due piani strategici nazionali (nel 2010 e nel 2016) e un piano d’azione Ue (nel 2012) tutti dedicati all’olivicoltura rimasti prevalentemente lettera morta, sono forse la plastica rappresentazione delle difficoltà in Italia di tradurre i propositi in realtà. Di fatto la produzione italiana fa ormai segnare ogni anno un nuovo minimo storico.
La sproporzione tra obiettivi annunciati e risorse investite è nel piano di settore olivicolo-oleario del 2016 convertito con la legge n. 91/2015, e che doveva rappresentare la versione riveduta e corretta del piano del 2010.
«Il Piano del 2016 – ricostruiscono all’associazione di produttori di olio Italia Olivicola – disponeva di una propria autonoma dotazione finanziaria di 32 milioni di euro, di cui 4 per l’anno 2015 e 14 ciascuno per i due anni successivi. Risorse che avrebbero dovuto migliorare molti aspetti, dalla commercializzazione alla promozione e che per il tema clou, ovvero quello del rafforzamento dell’offerta, stanziava però solo 9 milioni».
A questo punto non resta che confidare in una razionale applicazione della riforma della Pac 2023-2027 che offre l’irripetibile occasione alle istituzioni nazionali di programmare in maniera strategica ed unitaria gli interventi settoriali.
«Purtroppo – ha commentato il presidente di Italia Olivicola, Fabrizio Pini – possiamo tranquillamente affermare che il nostro Paese non abbia mai potuto godere di un vero Piano olivicolo. E gli interventi solo annunciati ma poco concreti, hanno avuto l’effetto di far perdere ancora valore e competitività all’olivicoltura italiana. Un passo importante sarebbe ora quello di coinvolgere la filiera nei progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza per costruire un percorso organico di rilancio strutturale dell’olivicoltura, ed evitare così interventi spot che non portano alcun beneficio a tutto il sistema».