Ogni posizione è legittima e merita rispetto, ma ogni posizione è anche criticabile e l’uscita di Confagricoltura, in un comunicato stampa, merita un commento perchè inanella una serie di autogol da primato
Gli errori e i dubbi
Al Coi non è in atto alcuna discussione, ufficiale o ufficiosa, sull’abbassamento dei parametri di qualità dell’olio extra vergine di oliva. E’ in corso un dibattito sui limiti di un parametro riguardante l’olio lampante. La prima affermazione di Walter Placida, secondo informazioni assunte direttamente dal Coi, è quindi falsa.
La seconda asserzione, sul rischio che un abbassamento dell’acidità porti fuori dal mercato il 50% dell’extra vergine nazionale è decisamente allarmistica e non è chiaro su quali dati o analisi si fondi. A quello che mi risulta al Tavolo olivicolo del Ministero delle politiche agricole si discute sull’opportunità di un abbassamento dell’acidità a 0,5, dallo 0,8 attuale. A parte alcuni circoscritti territori, è quantomeno improvvido, a mio giudizio, sostenere che la metà dell’olio extra vergine di oliva nazionale abbia un’acidità tra 0,5 e 0,8.
La percezione e il mercato
Un olio extra vergine di oliva con acidità superiore a 0,5 non è un olio di alta qualità. Si tratta di un extra vergine che non si potrebbe fregiare praticamente di nessun marchio Dop/Igp italiano, stante che, quando anche il disciplinare fosse poco restrittivo, il limite a 0,6 di acidità, tipico delle più vecchie Dop/Igp, verrebbe superato in poche settimane. Si tratta inoltre di un olio che, nel volgere di qualche mese in bottiglia, non rispetterebbe neanche i parametri della categoria extra vergine.
Senza contare che, nell’immaginario collettivo, l’acidità dell’olio è il parametro di qualità e tutti sanno che più basso è il valore, meglio è, da cui i famosi oli 0,3 di acidità in bella vista sull’etichetta.
Affermare quindi che la metà dell’extra vergine italiano ha un’acidità superiore a 0,5 equivale a dire che l’olio italiano è mediocre e, anzi, a volte fa proprio un po’ schifo, tanto più l’acidità è vicina al limite legale. Considerando che la media degli oli comunitari che importiamo in Italia ha un’acidità compresa tra 0,4 e 0,5, secondo dati Icqrf, una buona campagna di comunicazione dei nostri competitor potrebbe persino dimostrare che l’olio estero è di maggiore qualità di quello nazionale. Quindi un’associazione di produttori italiani ha dato un assist formidabile per dimostrare che gli altri paesi ormai producono un olio migliore del nostro.
Ed è il primo autogol.
Ma cosa producono gli associati a Confagricoltura?
Se fossi il responsabile comunicazione di un’altra associazione agricola o olivicola mi dissocerei immediatamente dalle affermazioni di Confagricoltura con una frase del tipo: “pensa per te, se i tuoi associati non riescono a produrre olio di qualità, questo non vale per i nostri.”
E’ inevitabile che, con affermazioni come quelle di Placida, Confagricoltura dia l’idea di un’associazione ferma, che difende solo lo status quo, incapace di innovarsi, di spingere per migliorare la qualità, di alzare l’asticella. L’esatto contrario di quanto richiesto dai tempi, ovvero dinamismo e flessibilità. Senza contare il controsenso politico-concettuale di un’associazione che si batte per l’introduzione di nuove tecniche di miglioramento genetico delle colture, compreso l’olivo, e poi vuole che i parametri dell’extra vergine rimangano quelli dei nostri nonni.
E siamo allo 0 a 2 per gli avversari.
L’errore politico-strategico- comunicazionale
Una revisione dei parametri chimici dell’olio extra vergine di oliva richiede un iter particolarmente lungo e complesso, con molti ostacoli.
Se in Italia si giungesse a un accordo, il Ministero delle politiche agricole dovrebbe portare la proposta a Bruxelles, in ambito Feoga, per discuterne con i partner europei. Lì vi sarebbero negoziazioni e non è detto che si giunga a un compromesso condiviso. Da Bruxelles la proposta passerebbe poi al vaglio del Coi a Madrid. In quest’ultima sede la discussione verrebbe ampliata anche ai paesi produttori dell’intero bacino del Mediterraneo e oltre.
Tale trafila è stata tentata in più occasioni, sia da parte dell’Italia sia da parte della Spagna. L’esito è stato sempre un nulla di fatto. La storia, e gli interessi economico-politici sottesi, insegnano che non vi è una volontà condivisa di restringere seriamente i parametri dell’extra vergine ma, al massimo, vi è la possibilità di qualche ritocco di facciata.
Portare, difendere e sostenere la proposta di un restringimento dei parametri di qualità dell’extra vergine significherebbe alzare un vessillo, una bandiera in una battaglia che si sa già persa in partenza.
Significherebbe però mandare anche un messaggio al mondo: l’Italia difende la qualità e vuole offrire al mondo il migliore degli extra vergini possibili. Implicitamente, tra le righe, si comunicherebbe, altresì, che l’Italia produce già il migliore degli extra vergini possibili, visto che chiede di restringerne i parametri.
Alzando la bandiera della qualità, pur perdendo la battaglia nelle sedi istituzionali, si rafforzerebbe la reputazione dell’olio italiano nel mondo.
Abbassando il vessillo, si lascia campo aperto ai concorrenti.
Se poi la bandiera la si brucia si segna il clamoroso terzo autogol.
Caro presidente Placida,
lei è riuscito nel capolavoro di segnare tre autogol in una singola frase.
Autogol che, a mio giudizio, non danneggiano solo la sua associazione (e questi sono problemi di Confagricoltura) ma anche l’intero settore dell’olio extra vergine di oliva italiano.
Insomma, siamo 0 a 3.
Palla al centro.
E pensare che la partita non è neanche iniziata…
Fonte: www.teatronaturale.it