
Dopo settimane di fortissime preoccupazioni e tensioni per i dazi americani sull’olio di oliva, con gravissimi danni paventati soprattutto dal commercio e l’industria olearia nostrana, improvvisamente il silenzio.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, confermato da recenti dichiarazioni anche del direttore esecutivo della North Amercan Olive Oil Association, Joseph R. Profaci, sarà soggetto a dazio anche l’olio spagnolo imbottigliato in altre nazioni, diverse dalla Spagna, e spedito negli States.
Stante la dipendenza dell’industria e del commercio oleari nostrani dalle importazioni di olio iberico, la notizia avrebbe dovuto far rabbrividire più di qualche alto dirigente.
Invece il silenzio, almeno pubblicamente, condito da qualche pacca sulle spalle per lo scampato pericolo privatamente.
Sarà sufficiente esportare olio sfuso, per poi imbottigliarlo negli stabilimenti che tanti grandi e piccoli marchi europei hanno costruito negli States, contestualmente alla costituzione di società di diritto americano, per scongiurare ogni ipotesi di dazio e così preservare le quote di mercato.
Insomma un potenziale danno commerciale è stato derubricato a semplice problema logistico-amministrativo, con la felicità di tutti.
Il Presidente Trump è felice perchè si potenzierà l’industria olearia statunitense, probabilmente aumenterà l’occupazione ma soprattutto rimarrà totalmente negli Usa, e verrà tassato integralmente là, il valore aggiunto dal confezionamento e dalla commercializzazione dell’olio di oliva europeo.
L’industria olearia, americana ed europea, è felice perchè le vendite nel principale mercato di sbocco con elevata marginalità non ne soffriranno. Non è infatti importante dove vengono creati gli utili e la ricchezza per imprese e azionisti, ma che si continuino a macinare profitti. Anzi, i dazi di Trump sono il perfetto alibi per continuare quel processo di delocalizzazione, in atto ormai da tempo.
All’apparenza a soffrire maggiormente del nuove regime doganale statunitense dovrebbe essere solo l’olivicoltura iberica che esporta negli Usa 40-50 mila tonnellate di olio di oliva imbottigliato che, soggetto a dazio, diventerà assai meno competitivo di quello imbottigliato negli States o importato da Tunisia o Sud America. Per ridurre questo gap competitivo è lecito attendersi una pressione sull’ultimo anello della filiera, il mondo produttivo, affinchè riduca i prezzi, compensando le nuove tariffe doganali. Una discesa delle quotazioni in Spagna non potrebbe non avere conseguenze anche su quelle italiane e greche.
Il mondo è troppo interconnesso perchè la perturbazione in un’area non faccia sentire, almeno un poco, gli effetti anche in un’altra zona economica.
Resta infine il grande tema del valore aggiunto. La marginalità sulle vendite di olio europeo sul mercato americano è del 15-20%, a seconda della capacità dell’impresa e della fascia di prodotto. Quella marginalità, probabilmente, non tornerà più nelle terre di origine dell’olio d’oliva ma si fermerà negli Usa, per magari poi prendere altri lidi. Un impoverimento per il settore olivicolo-oleario europeo che non potrà non avere conseguenze sulla capacità di investimento e di innovazione.
Se è troppo presto per capire se i dazi di Trump saranno una febbriciattola o un attacco di cuore, è certo che c’è comunque poco da festeggiare per l’olivicoltura italiana ed europea.