Olio italiano ridotto al lumicino

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I big delocalizzano. La Spagna produce 10 volte l’ItaliaIn Italia si rivedono le stime produttive di olio d’oliva al ribasso, con un risultato finale che probabilmente sarà inferiore alle 200.000 tonnellate.

In Spagna stanno alzando le previsioni con il traguardo di 1,7 milioni di tonnellate, poi non così lontano.

E’ l’intero sistema olivicolo-oleario italiano a vacillare, con industria e commercio che vendono i gioielli di famiglia, cercando partner per stare sul mercato o delocalizzare all’estero.

Non solo Carapelli, Bertolli e Sasso, da anni del colosso anglo-iberico Deoleo, anche Sagra e Filippo Berio, quest’ultimo noto soprattutto negli USA dove ha circa il 10% del mercato, sono stati acquisiti dalla Yimin, sussidiaria del gruppo Bright Food, di proprietà del governo cinese.

Altre aziende italiane, come Mataluni, proprietaria del marchio Dante, hanno dovuto essere ricapitalizzate da fondi esteri come Oxy e Attestor per sistemare i conti traballanti.

Numerosi anche i casi di imprese italiane, come l’umbra Costa d’Oro che ha ceduto una parte importante delle proprie quote sociali alla francese Avril, che cercano partner stranieri per restare sul mercato.

C’è chi ha scelto di delocalizzare la produzione.

Prototipo della oderna multinazionale olearia è Colavita SpA che da più di trent’anni ha deciso di delocalizzare. Essa ha una pluralità di società in giro per il mondo che comprano ed imbottigliano olio sotto il noto marchio molisano. Dalla Tunisia all’Argentina, passando per gli USA, con uno stabilimento nel New Jersey ed uno in California.

E dove sia concentrato il business lo si deduce dai numeri, con la casa madre che fattura 60 milioni di euro contro i 100 di Colavita USA.

Anche Monini, 130 milioni di fatturato ed un posizionamento sempre più sulla fascia bassa di prezzo in Italia nel 2018 secondo dati Nielsen, che invece continua a macinare utili con le filiali negli USA ed in Polonia.

Più recentemente, ad avere deciso di aprire stabilimenti di imbottigliamento in Spagna sono stati i campani Basso, 60 milioni di fatturato, che ha delocalizzato ad Alcàsser nella provincia di Valencia, e l’umbra Coricelli, 110 milioni di fatturato, che ha egualmente un impianto di confezionamento a Baena in Andalusia.

Ma sarebbero molte di più le aziende con interessi in Spagna, come risulta da un’inchiesta della Procura di Cordoba, che ha denunciato come sempre più spesso società iberiche, ma controllate da italiane, hanno il compito di triangolare produzioni di dubbia provenienza, magari previa deacidificazione e deodorazione.

Mentre la galassia dell’industria e commercio oleario si sta internazionalizzando sempre più velocemente, senza distinzioni tra aziende familiari e colossi multinazionali, il mondo dell’associazionismo si spacca.

A tal proposito Gennaro Sicolo, presidente di Italia Olivicola, si scaglia contro “i patrioti dell’olio, talmente amanti dell’Italia da delocalizzare all’estero i loro stabilimenti“. (ndc: riferendosi all’accordo di un’Associazione con Federolio che prevede la nascita di un fantomatico ‘olio italico’, miscela d’olio italiano con oli di altra origine).

 

Fonte: www.italiaoggi.it