Più quantità e qualità, investimenti in ricerca, aggregazione di filiera e cooperazione nel Mediterraneo. Sono le quattro azioni indispensabili per il rilancio dell’olivicoltura italiana, presentate da Cia-Agricoltori Italiani in occasione del suo primo Forum Olivicolo Nazionale, che si è tenuto in Calabria a Lamezia Terme. Un evento con istituzioni, tecnici, scienziati per un obiettivo comune: “Rendere il settore più competitivo, innovativo e aperto -spiega il presidente nazionale Dino Scanavino- connesso da un lato al territorio e dall’altro al mercato”.
Tra i problemi più grandi dell’olivicoltura nazionale, secondo Cia, ci sono la forte polverizzazione del tessuto produttivo, costi alti e prezzi volatili, poca innovazione, ricambio generazionale insufficiente. In più, l’Italia vive una critica variabilità produttiva legata ad annate positive come quella in corso (si stimano 320.000 tonnellate) alternate ad altre con drammatiche flessioni, principalmente per andamenti climatici avversi e attacchi parassitari (nel 2018 si è assistito a un crollo della produzione a 175.000 tonnellate).
Il nodo cruciale è legato all’età e alla bassa densità degli uliveti: la superficie olivicola italiana è occupata per il 63% da oliveti “adulti” con più di 50 anni e solo per l’1% da oliveti con meno di 5 anni. Inoltre, solo il 5% della superficie olivicola è caratterizzata da oliveti intensivi e giovani, mentre il 42% ha meno di 140 piante a ettaro.
E’ chiaro, quindi, che la prima azione proposta da Cia al Forum riguarda la necessità di agevolare nuovi impianti a più alta densità e incentivare la riqualificazione di quelli esistenti per incrementare produzione e produttività degli oliveti. Aumento della quantità, dunque, a cui va associata la valorizzazione della qualità tricolore, dando impulso alle denominazioni Ue (l’Italia dell’olio conta 42 Dop e 5 Igp, tra Toscana, Calabria, Marche, Sicilia, Puglia) e al racconto dei territori, con il sostegno della ristorazione e del turismo per la comunicazione diretta del valore aggiunto del nostro olio extravergine.
Secondo punto fondamentale, secondo Cia, è investire in innovazione e ricerca coordinata, anche istituendo un tavolo di lavoro dedicato. Innovazione a disposizione delle aziende olivicole vuol dire tecniche produttive e di difesa fitosanitaria per preservare le risorse naturali e la biodiversità come il bio-controllo, soluzioni per valorizzare i residui colturali e di trasformazione, principalmente per produrre energia, ma anche disponibilità di varietà autoctone più resistenti alle malattie e adattate ai cambiamenti climatici, anche attraverso le nuove tecnologie di miglioramento genetico.
Come terza azione, per migliorare la posizione degli olivicoltori nella filiera, Cia sostiene OP controllate dagli agricoltori, forti sul mercato, propense all’innovazione e alla sostenibilità. Bisogna, cioè, continuare a lavorare per rafforzare l’aggregazione e il ruolo economico delle Organizzazioni di Produttori e premiare quelle che coprono la filiera dal campo fino alla tavola. Al tempo stesso, serve potenziare l’Interprofessione, piattaforma di discussione tra gli attori della filiera, ma soprattutto centro di competenza per la promozione, la ricerca, la condivisione di dati tecnici ed economici. In quest’ottica, occorre un’OI unica, nazionale, partecipata, anche dalla Gdo.
Infine, quarto punto ma non meno importante, secondo Cia è urgente rilanciare una strategia mediterranea di collaborazione tecnica e cooperazione, con un protagonismo solidale degli agricoltori, soprattutto di giovani e donne, per contrastare la crisi economica, la disoccupazione e la desertificazione “umana” delle zone rurali.