Xylella: resistenza genetica, l’unica possibile soluzione

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In un convegno a Lecce illustrati i primi risultati delle ricerche sulla resistenza varietale al batterio Xylella fastidiosa subsp. pauca ST53

Non esiste cura, lo ha ribadito anche l’Efsa. Per contrastare il batterio Xylella fastidiosa subsp. pauca ST53 (Xfp), che tanti danni continua a provocare alla parte meridionale (finora) dell’olivicoltura pugliese, non c’è alcuna proposta che sia stata sperimentalmente verificata ed economicamente sostenibile.

Ma per fortuna si sta faticosamente trovando una soluzione con l’individuazione di qualche forma di resistenza genetica.

Su questo difficile percorso, forse l’unico promettente, l’Associazione regionale pugliese tecnici e ricercatori in agricoltura (Arptra) ha organizzato a Lecce il convegno “Reimpianti e reinnesti nelle aree infette da Xylella fastidiosa subsp. pauca”, che ne ha approfondito gli aspetti scientifici e tecnici e ha fornito i primi risultati delle ricerche in corso.

«Gli obiettivi su cui lavorare sono due, e nettamente distinti:

1. trovare sistemi per la convivenza dell’olivicoltura con il batterio nell’area ormai infetta,

2. arrestare o rallentare l’avanzata dell’epidemia verso le aree ancora indenni – ha introdotto Federico La Notte, ricercatore dell’Istituto per la protezione sostenibile delle piante (Ipsp) del Cnr di Bari –.

Tanti sono gli esempi storici di successo contro epidemie e malattie delle piante senza cura o di difficilissimo controllo facendo ricorso alle resistenze genetiche a patogeni e parassiti. Un esempio per tutti è quello della fillossera, risolta alla fine del XIX secolo utilizzando come “piede” resistente la vite americana».

Puntare sulla resistenza genetica può essere vincente perché «è già noto che la biodiversità olivicola è molto elevata, in termini sia di variabilità inter-varietale (varietà autoctone o tipiche locali, in Puglia ne sono state ritrovate circa una settantina col progetto ReGerOP; qualche centinaio di varietà regionali italiane e di altri Paesi mediterranei; alcune migliaia semenzali locali da libera impollinazione; nuove varietà da incroci controllati, potenzialmente illimitati) sia di variabilità intra-varietale (cloni)».

La ricerca di varietà resistenti al batterio, ha informato La Notte, si è basata su osservazioni empiriche di resistenza alla malattia nelle prime aree infette del Salento.

«Da esse e dalle successive analisi di laboratorio è emerso che nella varietà Leccino la popolazione di Xfp è 100 volte meno concentrata che nella Ogliarola salentina e che nella varietà Fs-17 (Favolosa®) è ancora più bassa di quella presente nella Leccino. Questo è stato un incoraggiante punto di partenza nella ricerca di materiale resistente che ha consentito di alleggerire il divieto di impianto in zona infetta in vigore con le Decisioni comunitarie».

Subito dopo sono state avviate tre linee di ricerca sulle resistenze genetiche nel germoplasma olivicolo:

1. campi sperimentali per valutare la suscettibilità di più cultivar di olivo a Xfp;

2. valutazione con innesto per l’identificazione rapida di cultivar resistenti/suscettibili e il recupero degli olivi centenari;

3. la ricerca di semenzali resistenti nell’area epidemica.

«In particolare con l’Azienda “Forestaforte” di Presicce (Le) dell’agronomo Giovanni Melcarne abbiamo avviato il progetto “Xylella Quick Resistance Test” in cui stiamo valutando 440 varietà (le ultime 180 introdotte nel 2018) in tre oliveti per un totale di 12,5 ettari con circa 1.000 piante e oltre 6.400 innesti, in pratica cultivar/biotipi di tutte le regioni italiane e di altri 15 Paesi, selezioni avanzate da incrocio, 10 genotipi di olivi selvatici (wild).

La scommessa sperimentale, ha illustrato Melcarne, è impostata su cardini precisi:

1. valutazione e ottimizzazione della pratica del sovrainnesto in campo;

2. valutazione economica delle operazioni complessive per il sovrainnesto;

3. messa a punto di una procedura rapida per la valutazione della sensibilità varietale in condizioni di pieno campo;

4. valutazione della sensibilità al batterio della biodiversità varietale, salentina, pugliese e di quella più diffusa e utilizzata nei disciplinari di produzione delle più importanti Dop italiane;

5. verifica del grado di fragilità e rischio potenziale (produttivo/paesaggistico) dell’epidemia per altre aree olivicole italiane;

6. individuazione di ulteriori varietà tolleranti/resistenti al disseccamento rapido dell’olivo nel germoplasma mediterraneo.