Di Alberto Grimelli
La storia dell’olio extra vergine di oliva è recentissima, avendo poco più di cinquant’anni, ma quella dell’olivo e dell’olio ricavato dalle olive è millenaria. Le prime testimonianze di industrie olearie hanno più di 6000 anni e si sa che l’olio era utilizzato dagli Antichi Egizi come combustibile per le lampade votive e come unguento. Tali utilizzi prioritari, più importanti di quello alimentare, vissero per secoli e furono il fondamento del mito dell’olivo e dell’olio di oliva. L’olivo quindi divenne un albero da tutelare.
Se qualcuno avrà sradicato o avrà abbattuto un olivo, sia di proprietà dello Stato sia di proprietà privata, sarà giudicato dal Tribunale, e se sarà riconosciuto colpevole verrà punito con la pena di morte.” (Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, 330-322 a.C.)
Da allora, fino a tempi più recenti l’olivo è stato tutelato e la coltura incentivata. Nel 1830, Papa Pio VII garantiva un premio in denaro per ogni olivo piantato e curato per 18 mesi. E’ ancora in vigore in Italia il divieto di abbattimento degli olivi stabilito con il decreto luogotenenziale n. 475 del 1945 di Umberto di Savoia, e controfirmato dall’allora Ministro di Giustizia Palmiro Togliatti, che stabiliva una sanzione pari a 10 volte il valore dell’olivo per chi lo estirpava ingiustificatamente.
Andando oltre il mito e le leggende, occorre ricordare che l’olio di oliva fu, per secoli, l’unico olio vegetale utilizzabile nel Bacino del Mediterraneo.
Oggi, gli oli di oliva hanno perso parte della loro centralità nell’iconografia collettiva perché altri prodotti li hanno soppiantati, come gli idrocarburi e l’elettricità per l’illuminazione, oppure la farmacologia che ha trovato altri mezzi per solubilizzare i principi attivi. Nell’alimentazione, poi, gli oli di semi risultano più economici.
È lecito allora chiedersi per quali valori materiali e misurabili l’olivo e l’olio di oliva vantino ancor oggi un primato che possa generare una remunerazione.
Vi è certamente l’aspetto nutraceutico e salutistico, intimamente legato al concetto di naturalità, visto che l’olio extra vergine di oliva è un succo di frutta, non alterato da processi chimici o additivi.
Meno conosciuto e ancor meno sfruttato è il valore ambientale. Si dice che l’olivo è una pianta rustica, da sempre abituata ai terreni marginali, che ha bisogno di poche cure. Ma non sono questi i motivi per cui si può dire che l’olivo fa bene all’ambiente. L’olivo riesce a sequestrare molta più anidride carbonica di quanta ne emetta la sua coltivazione, un unicum in ambito agricolo.
Non si tratta di supposizioni o dicerie ma di calcoli effettuati da tutte le principali università
mondiali. Ma non tutte le tecniche colturali, di frantoio e di gestione aziendali hanno ugual impatto e il risultato finale, in termini di impatto dell’impronta di carbonio (Carbon Footprint) o di Life Cycle Assestment (LCA), può cambiare sensibilmente.
Adottare sistemi di mitigazione, senza impatto su produttività e costi, calcolare la sostenibilità della propria bottiglia di olio extra vergine di oliva e informarne il consumatore può portare anche spuntare un premio di prezzo.
Secondo un sondaggio Capterra, il 39% degli intervistati è disposto a pagare fino al 10% in più rispetto al prezzo originale per prodotti sostenibili. Le azioni sostenibili cui i consumatori tengono di più sono la riduzione del consumo di plastica (67%), la riduzione delle emissioni (63%) e l’acquisto di prodotti a km zero (57%).
Il valore ambientale dell’olivo è ancora poco conosciuto da produttori e consumatori ma è
certamente un tema da non sottovalutare per il futuro del settore.